Un luogo libero!

Gen 24 2015

Un luogo libero!

Friendly Versilia. Una Lezione di libertà NAZIONALE. Un inviato di Repubblica…

Cosa può spingere due graziose liceali diciottenni a gettarsi nel cuore di tenebra del Gay Pride? Le interrogo nella zona della famosa «rotonda» di Torre del Lago, nel frastuono del karaoke che ha dissipato anche gli ultimi resti del surreale silenzio dove una volta tra gesti e ammiccamenti entravano in azione trasgressivi di ogni ordine e grado. Ho percorso a piedi circa due chilometri nello smog, abbagliato da macchine stracolme di giovanotti ma anche di famiglie, dopo essermi lasciato alle spalle una gara di ballo liscio e un bocciodromo, estremi baluardi della vacanza marina a buon prezzo e nei limiti della norma. A metà del vialone che porta alla rotonda scambio il Tower per una discoteca gay, sfodero penna e moleskine e mi appunto il risoluto sussulto di orgoglio etero del buttafuori.

Se dovessi fare il giornalista di cronaca sarei sicuramente una frana, non insisto sulla vocazione del locale e mi allontano sbirciando con il beneficio del dubbio due ragazze abbracciate immobili davanti all’entrata. Dunque interpello le liceali, una mi dice che è curiosa perché i gay sono strani, l’altra sostiene che sono più sensibili del normale. La diversità tira, attrae, ha cominciato a farlo con Aristotele che si incaponiva di definire la differenza per sottrazione, sbucciando l’identità come una banana, stringendo alla fine un resto indefinibile. I ragazzi lo imparano a scuola: genere, specie e differenza specifica. L’uomo è un animale razionale, la capacità di ragionare lo rende diverso da una zebra. Poi vengono il proprio e l’accidente, per cui un uomo ha la capacità di ridere e per accidente è un etero o un gay. L’ultima parte dev’essere la più difficile da digerire, soprattutto per chi ha la convinzione che la sessualità appartenga al genere, sia insomma un fatto naturale com’è naturale che una zebra non pensi, lasciando che la differenza serva a distinguere tra i due sessi disponibili in natura. Scusate la pedanteria, ma era necessaria per avere un’idea delle facce che fanno gli appartenenti al genere quando si trovano davanti le sfumature e si tormentano all’idea che di sessi ne esistano anche più di tre. Tanto più che in quel carnaio di segni che è il corpo ne succedono di tutte, e nei viali alberati di Torre del Lago sfila non solo la cultura omosessuale ma anche il culturismo gay, una variante fisicamente attrezzata dell’effeminatezza che uno stereotipo duro a morire attribuisce alla categoria. Si mettano l’animo in pace i militi e i militanti della varie organizzazioni nazi, i cultori della forza nuova o vecchia che sia: quanto a muscoli e a teste rasate il Gay Pride li batte decisamente, a riprova che l’intolleranza costruisce modelli campati in aria. Comunque il sospetto che identità e differenza non esistano, o almeno non abbiano contorni poi tanto decisi, non sfiora la marea umana che come le liceali si avvia verso il Boca Chica a godersi lo spettacolo della diversità, di quell’incognita che per definizione è faccenda altrui, che come le malattie incurabili viene solo agli altri. Intorno al Boca Chica l’orgoglio gay si materializza nell’elezione del più bello d’Italia, nell’esibizione della Drag Queen più famosa del Brasile, in una serie di simpatiche iniziative che di trasgressivo hanno abbastanza poco, che in compenso hanno trasformato un viale a mare di poche baracche in una Miami di casa nostra. Mi dicono che ogni notte è così, che i gay hanno fatto di Torre del Lago uno dei posti più frequentati dai giovani, lo dice soddisfatto anche il sindaco di Viareggio sul palco dove il più bello verrà incoronato. La serata è divertente, anche troppo garbata, qualche recinto di troppo con i nasi delle famiglie e delle coppie usuali infilati a spiare nelle maglie della rete, troppa insistenza sul fatto che i gay portano soldi. Ma siamo in festa, e il Gay Pride ha il merito di rafforzare in chiunque, gay o no, l’orgoglio di essere quello che è , insomma la gioia di «essere», punto e basta. Certo una lezione di libertà, anche così, con qualche tonalità vagamente nazionalpopolare, con qualche richiamo eccessivo alla società dello spettacolo. Perfino il transessuale brasiliano che di punto in bianco attraversa la folla facendo scempio dei generi aristotelici e insinuando il sospetto inquietante che la seduzione abbia luogo nella sospensione dei sessi, alla faccia dell’identità ma anche della differenza, si chiama Sue Ellen come la bellona di una nota telenovela. Mi cascano braccia e moleskine, ma l’importante è che prendo la via del ritorno con qualche salutare incertezza in più, libero da certi pregiudizi di cemento armato.

Fonte: Repubblica 17 Agosto 2002